Ci sono libri che ti sfiorano. Altri ti prendono per mano. Chiedi alla polvere invece ti strattona, ti scuote, ti spoglia di ogni romanticismo sulla scrittura e sull’amore, lasciandoti solo con la verità cruda, sporca, viva.
Quella verità si chiama Arturo Bandini.
Ambientato in una Los Angeles polverosa e spietata degli anni ’30, Chiedi alla polvere è il grido affamato di un giovane scrittore italoamericano che cerca di farsi largo nella giungla editoriale e nella sua stessa anima. Arturo è arrogante, insicuro, tenero e irritante. Un personaggio che ami e odi nello stesso paragrafo. Ma proprio lì, in quel contrasto, risiede la grandezza di Fante.
Con una prosa semplice e tagliente, Fante riesce dove tanti falliscono: rende la fame – quella di cibo, di riconoscimento, di amore – palpabile. La sua Los Angeles non è la città delle stelle, ma una distesa di miseria e possibilità, di stanze d’albergo sporche, caffè consumati tra i silenzi, e sogni che si sbriciolano sotto le scarpe.
E poi c’è Camilla, la donna impossibile. Uno specchio deformante dei desideri di Bandini, e allo stesso tempo la sua più grande dannazione. Il loro rapporto è tossico, disturbante, struggente – ma profondamente umano.
Fante scrive col cuore in gola e i piedi nella polvere. E mentre leggi, ti accorgi che non stai semplicemente osservando Arturo Bandini: sei Arturo Bandini, con tutte le sue contraddizioni, le sue paure e la sua ostinata speranza.
Se ami Bukowski, devi tutto a Fante. Se non hai mai letto né l’uno né l’altro, Chiedi alla polvere è il punto di partenza perfetto per entrare in un mondo letterario fatto di passione nuda, fallimenti eroici e sogni ostinati.
Un romanzo che non consola, ma che ti resta addosso. Come la polvere.
Appunto.
“Scrivere è come affondare i denti in un sogno, e John Fante lo sapeva bene.”
